Youngtimer al polso: Il fenomeno "Cattin"

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«È bastata mettere un cinturino in pelle e soprattutto sostituire il vetro Zaffiro con uno Hesalite, per realizzare un crono dal fascino vintage»

Paolo Gobbi  a colloquio con Paolo Cattin

 

IL FASCINO DELL’OROLOGERIA da collezione non si trova solamente nel valore intrinseco dei pezzi più importanti, quanto nella capacità che hanno alcuni modelli di evocare sensazioni, ricordi ed emozioni. Non ci deve allora stupire se proprio da chi ama e colleziona da decenni il più celebre tra i cronografi da polso, sia giunta la sensibilità per inventarne un’evoluzione che potrebbe lasciare a bocca aperta più di un purista.Con Paolo Cattin,tentiamo di ripercorrere alcune tappe del celebre cronografo Rolex.

«Partiamo da lontano in maniera tale da poter comprendere questo fenomeno. All’inizio degli anni ’70 nell’orologeria svizzera di qualità prende il via una lenta  evoluzione tecnologica, che vede nella meccanica la diffusione dell’automatico, mentre nell’habillage si iniziano a montare i primi vetri minerale e poi zaffiro. La Rolex nel Daytona farà sue queste tecnologie nel 1988, quando verrà presentata la prima versione dotata di movimento automatico e vetro zaffiro inscalfibile».

Una vera e propria rivoluzione?
«Dal mio punto di vista è l’inizio della vera rivoluzione. La fine degli anni ’80
e poi i successivi anni ’90 preferirei considerarli un momento transizionale: viene lasciato da parte il Daytona a carica manuale, il Submariner vetro plastica e così per gli altri professionali. Oggi, trascorsi oltre trent’anni, questi modelli sono diventati a tutti gli effetti dei vintage da collezione».
I collezionisti devono avere un particolare occhio di riguardo per questi modelli?
«Sì, tanto più che in quel periodo la produzione era ancora “fantasiosa”, si vedevano pezzi fuori dal comune, tirature limitate, pezzi su richiesta. Basti pensare che il primo Rainbow è uscito quando ancora il Daytona montava il movimento Zenith».
È da poco uscito il nuovo Daytona, che potrebbe essere definito una sorta di quarta serie, in quanto monta un nuovo calibro, il quarto appunto per questo celebre cronografo.
«Sì, è uscito e non possiamo fare a meno di evidenziare alcuni particolari
estetici molto importanti: la grafica con i contatori stretti, come nella ref.16520; un anello di metallo che “contiene” la lunetta in ceramica,come nella ref. 6263. Quindi sono state riprese le grafiche anni ’70 e ’80, mentre un leggero aumento nello spessore ha permesso di montare il fondello con l’oblò centrale per poter
finalmente osservare il movimento. Vedremo se ci saranno ancora delle evoluzioni in futuro».


Torniamo ai Daytona Zenith. Come si vede dalle foto in queste pagine hai fatto un’operazione non certo ortodossa su alcuni dei pezzi della tua sterminata collezione.
«Sì, ho creato un set completo di modelli degli anni ’90, quasi tutti in oro, dove ho compiuto due operazioni: la prima, estremamente semplice e alla portata di tutti, ho tolto il bracciale e l’ho sostituito con un cinturino in pelle».


La seconda?
«Questa è più complessa, ma è anche la più importante: ho sostituito il vetro zaffiro con un vetro Hesalite (plexiglass) adattato a perfezione per questo modello».

 


Il risultato?
«A mio avviso sconvolgente. Cambiano le proporzioni, l’aspetto del quadrante, il “sapore” stesso dell’orologio.Diventa più caldo,si accentua la bellezza, il colore, la morbidezza delle linee. Si ha la sensazione inaspettata di indossare un cronografo degli anni ’60, pur mantenendo costruzione e tecnologia del ventennio successivo».

 


 

Bisogna ammetterlo, il risultato è piacevole e al tempo stesso intrigante. Non posso però fare a meno di porti una domanda: perché lo hai fatto?
«Per rimarcare il fatto che si tratta di modelli transizionali e da collezione. Appartengono ad un periodo nel quale sono state fatte delle cose molto particolari, i materiali e le grafiche erano diverse rispetto alle odierne e tutto questo sta creando un mercato del tutto nuovo. Di conseguenza, vista  anche l’evoluzione della modellistica attuale, diventa sempre più precisa la definizione di “pezzo da collezione” anche per le versioni con movimento automatico».

 Alcune di queste tematiche le hai trattate anche in uno dei tuoi libri.
«Nel primo libro “Investire in Orologi di Lusso” sono andato a legittimare il fatto che esiste ed è importante un collezionismo di orologi recenti, finanche contemporanei. Questo perché ci sono degli appassionati che preferiscono acquistare l’orologio moderno, si sentono tutelati, garantiti nell’acquisto, pensano di scongiurare così il pericolo dei falsi».

Un veloce inciso: di questo argomento, gli orologi contemporanei falsi, potremmo parlarne a lungo.
«Ci sono delle logiche che un collezionista esperto non nota neanche, ma che valgono per i neofiti che si sentono maggiormente tutelati con i modelli contemporanei, quando purtroppo la piaga dei falsi affligge oggi più la modellistica attuale che quella vintage, che al contrario risulta davvero difficile e molto costosa da replicare».
Torniamo alle differenze tra i modelli anni ’90 e gli attuali.
«Io invito semplicemente a confrontare il peso di un Daytona oppure di un Submariner degli anni ’90 con l’omologo odierno. Si scoprirà che erano decisamente più leggeri, facili da indossare: ancora una volta appare chiaro il ruolo transizionale tra i loro predecessori degli anni ’80 e quelli che saranno i modelli del nuovo millennio. Una sorta di ponte, estetico e tecnologico, che si va man mano consolidando».
Nel mondo delle auto d’epoca il periodo che parte dagli anni ’80 fino agli anni ’90 è quello definito delle “Youngtimer”, che tra le loro caratteristiche annoverano spesso costi d’acquisto contenuti perfetti per far avvicinare anche i più giovani a questo tipo di collezionismo. Possiamo identificare un qualcosa di simile anche nell’orologeria?
«Sì. Se guardiamo le quotazioni ci accorgiamo che ci sono tanti modelli particolarmente interessanti degli anni ’90 che mantengono delle quotazioni ancora abbordabili per tanti collezionisti. Poi nel futuro vedremo».

 

 

Torniamo sul tuo cavallo di battaglia preferito: il Daytona. Osservando le sue quotazioni a partire dalla fine degli anni ’80 fino ad oggi, ci sembra di capire che siano sempre andate al rialzo. È una visione corretta?
«Sì, il Daytona ha sempre mantenuto alcune caratteristiche base: averlo a listino è sempre stato molto difficile, alle volte quasi impossibile; la sua valutazione nel tempo è sempre aumentata. Attualmente, il ref. 116.500 ha velocemente ripreso il suo mercato».
Aumentare la produzione e quindi i pezzi presenti sul mercato è la risposta corretta alla pressione per l’acquisto di orologi contemporanei?
«C’è probabilmente una strategia di aumentare i pezzi prodotti, con sempre meno concessionari ed aumentare le boutique monomarca. Tutto questo non andrà a cambiare la situazione attuale, perché la richiesta in un mercato globalizzato
è aumentata così tanto che anche raddoppiando la produzione non si
riuscirebbero a saturare le vendite. Di conseguenza cambierà poco o nulla».

 


Un’ultima domanda, tornando ai Daytona “modificati” con il vetro Hesalite: lo sa che iniziano a chiamarli con il suo nome? (sorridendo) «Daytona Cattin?
Non mi dispiacerebbe ma non è certo una mia scelta. Dopo aver dato tanto a questo modello, con una collezione tra le più importanti al mondo e con la creazione del Daytona Museum in Svizzera, mi è sembrato giusto trasmettere la mia esperienza e le mie emozioni nell’interpretazione personale - comunque rispettosa in quanto può essere ripristinato a originale da un orologiaio in pochi minuti – di un’icona della cronografia che da sessant’anni è quanto di più ambito si possa sperare in questa tipologia».

 

 

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