OMEGA: LA PREZIOSITÀ DEL TEMPO

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Intervista Esclusiva: a tu per tu con Stefano Accorsi, uno dei più talentuosi attori italiani, nonchè Ambassador del marchio svizzero.

 

CLASSE 1971, lo conosciamo per le sue poliedriche interpretazioni, sin dagli esordi della sua carriera con Fratelli e Sorelle di Pupi Avati nel 1992, e per essere una delle voci più affascinanti che ci accompagnano all’ascolto di noti spot pubblicitari. Oggi attore affermato, regista, produttore e sceneggiatore, lo ricordiamo come Massimo ne Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek, che gli ha  valso nel 2011 il Nastro D’argento; come il poeta Dino Campana in  Un viaggio chiamato amore di Michele Placido per il quale ha ricevuto la Coppa Volpi come miglior attore in occasione della 59a Mostra del Cinema di Venezia; o nei più recenti Veloce come il vento di Matteo Rovere, del 2017, (secondo David di Donatello), e per la terza volta con Ferzan Özpetek in La Dea Fortuna per cui, solo due anni fa, ha ottenuto un meritatissimo Ciak d’Oro per la sua superba interpretazione nel ruolo di Alessandro. Non possiamo dimenticare di citare altri due grandi successi: Radiofreccia di Luciano Ligabue, per cui ha ricevuto il primo David di Donatello, e L’ultimo bacio di Gabriele  Muccino,che ha appassionato tutti noi, e il grande pubblico, con il suo ritmo e la sua energia nell’affrontare la paura di diventare adulti. Diviso tra l’Italia e la Francia, Stefano Accorsi vanta anche la nomina di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres (Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere) dal Ministero della Cultura francese. Attualmente è impegnato con le riprese della  nuova serie prodotta da Sky Studios e Cattleya intitolata “Un amore” regia di Francesco Lagi, di cui è creatore e interprete protagonista a fianco di Micaela Ramazzotti: una storia d’amore, appunto, capace di resistere al tempo e alla distanza, raccontata su due differenti livelli temporali, che vedremo il prossimo anno sul piccolo schermo.

 

 

«È un mestiere che ho sempre sognato di fare fin da quando ero piccolo, quindi per me essere un attore è qualcosa che mi è sempre appartenuto. Non ho mai dimenticato che era ciò che volevo fare e lo amo profondamente. Oggi posso dire che mi è andata bene perché, sai, quando sei piccolo ti fai delle idee e non sempre corrispondono alla realtà. Sono quei mestieri che finché non li provi non sai veramente se è quello che avresti desiderato fare. Faccio un esempio molto banale riferendomi ai miei amici. Spesso mi dicono fai l’attore, che bello! Poi mi vengono a trovare sul set e cambiano idea. Per fare una scena, che dopo il montaggio dura solo 2 o 3 minuti, noi lavoriamo varie ore perché dobbiamo realizzarla con diverse inquadrature. Per me, questo rappresenta la bellezza del mio mestiere: l’hai studiata, l’hai capita e poi, mentre la fai, capisci ancora altre cose. Alcune scene vivono in quel momento proprio grazie allo scambio che si crea con la persona che hai di fronte o allo scambio con il regista. Quindi, mentre agli altri può sembrare noioso, per me rifare una scena non è mai rifare la stessa cosa, è sempre una nuova esplorazione».


Da cosa dipende?
«Un attore può rimanere sulla stessa scena per due, tre o quattro ore, dipende dalla sua difficoltà tecnica. Sono stato fortunato perché a me piace da pazzi. Fondamentalmente mi piace raccontare storie ed è per questo motivo che ho a allargato il mio campo d’azione alla produzione. Fare l’attore mi diverte moltissimo. Amo soprattutto la possibilità di cambiare, di raccontare storie differenti. A teatro, al cinema, di farlo per la televisione e anche per la pubblicità, mi dà sempre grande soddisfazione. Quando mi rendo conto che una stessa  cosa la si può raccontare in modi profondamente diversi, sia che duri 30 secondi, sia un’ora e mezza, mi affascina tantissimo, quindi per me fare l’attore è un mestiere meraviglioso».


Come il cinema riflette e mette in discussione la nostra stessa moralità?
«Non credo che sia un mestiere per dare lezioni morali, io non l’ho mai vissuto in questo modo,anzi… Quello che mi ha sempre affascinato è stato proprio andare a cercare le fragilità dei personaggi da interpretare. Sono proprio queste
che me li fanno sentire più vicini. In questo traspare vividamente cosa significa per me essere attore, ovvero raccontare delle storie ma non citandole, piuttosto diventando quelle stesse storie perché un attore diventa la carne della storia che racconta. Accade così che le persone riescano ad immedesimarsi con il personaggio, vivendo le sue stesse emozioni oppure scoprendole. Quindi per
me essere attore oggi è questo. Ha senso ricordare a chi vuol intraprendere questo percorso che è un mestiere molto diverso da quello che sembra. Ciò che si vede è solo la punta dell’iceberg: ci sono le prove a teatro, lo spostarsi di continuo, rifare le scene per ore, senza dimenticare tutto il lavoro di scrittura, di aggiustamento, di adattamento continui…Per questi motivi lo si deve amare profondamente».


Parlando di immedesimazione, sicuramente ci sono personaggi che risultano più difficili da interpretare rispetto ad altri. Quanto porti a casa dei tuoi personaggi?
«Per quanta preparazione ci sia a monte, credo che immedesimarsi completamente con un personaggio, anche se in alcuni casi può essere utile, sia impossibile. È indubbio che stare molto tempo a contatto con un determinato personaggio ti porti a scoprire molte più cose, ma l’idea di diventare esattamente quella persona non ha senso dato che noi lavoriamo in un mondo che si muove fra emozioni vere e finzione. Proietti diceva: Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso. Sicuramente ci sono dei personaggi che ti lasciano addosso delle tracce, magari il fine settimana quando torni in famiglia, però io credo che con l’esperienza quello che si esercita è proprio la capacità di entrare ed uscire da questo meccanismo. Ed è fondamentale. Talvolta lo è anche farlo all’interno di una stessa scena: uscire da quel ruolo specifico ti aiuta a ripetere una scena con una freschezza ritrovata in grado di aggiunge qualcosa che prima ti era sfuggito. Il nostro è un mestiere molto molto particolare, mantenere una piccola parte di noi al di fuori da tutto ciò è davvero importante».


In qualche modo protetta.
«C’è sempre una macchina da presa, l’attore lo sa. Ovviamente, nel momento in cui tu racconti la storia, devi valorizzare quello che fai per quella macchina da presa, per questo secondo me, è impossibile vivere esattamente la vita del personaggio, perché la si sta sempre anche raccontando».

Cosa ti piace di più e cosa meno del tuo lavoro?
«Ciò che mi piace di più è la possibilità di raccontare storie, spesso sorprendenti, che possono spaziare dal genere al film di sentimenti. Questo
poter raccontare mondi diversi mi entusiasma, soprattutto nel cinema, quando ti ci trovi immerso tra costumi e sceneggiature eccezionali. Del teatro, invece, mi piace tantissimo la comunione che si crea con il pubblico. Nel momento in cui una storia ha inizio sul palcoscenico, la accetti e fai finta che sia vera. E piangi con lacrime vere oppure ridi di gusto… In ogni caso porti sempre qualcosa a casa con te. Lo dico anch’io da spettatore. Certi film o pièce teatrali, quelli importanti, rimangono impressi per tutta la vita, come accade per alcuni libri. Quello che mi piace meno è il tempo lontano dalla famiglia. Torno a casa tutti i fine settimana, o appena mi è possibile, ma il non condividere la quotidianità con i miei figli mi pesa davvero».

Parliamo appunto del tempo. Quanto conta per te e come lo vivi?
«Ultimamente ho la sensazione che il tempo non sia mai abbastanza. Quando sei sul set, per esempio, o sei in prova a teatro, il tempo passa in modo rapido e abbastanza totalizzante. Per ore e ore sei dedito al lavoro. Dall’altra parte ritengo Il tempo trascorso in famiglia davvero molto prezioso, cerco di non trascurarlo mai. Oggi le mie scelte tengono anche conto di questo elemento, nei limiti di quello che faccio e dei ritmi di quello che faccio».


Parliamo di Omega: come è iniziata questa collaborazione?
«La collaborazione con Omega è nata un anno fa. Lavorare con un marchio dell’orologeria così prestigioso per me rappresenta un grande piacere. A parte il bellissimo rapporto che si è instaurato con lo staff che ho conosciuto
in Italia e in Svizzera, Omega è un marchio che mi piace e che ha un valore intrinseco notevole, non solo di immagine. Basti pensare a tutti gli orologi tecnici che hanno creato: quello che va più in profondità nel mare, quello che è stato più in alto nello spazio, o il fatto che siano i cronometristi ufficiali dei Giochi Olimpici. Ecco, questo dà proprio l’idea della qualità intrinseca a cui faccio riferimento. Sono davvero contento di poter collaborare con un marchio così autorevole e allo stesso tempo anche così popolare. Siamo stati di recente alla festa per i 60 anni di James Bond a Londra ed è stato bello vedere Daniel Craig e scambiare due chiacchiere. È divertente far parte di questa famiglia, un brand che già da varie decine di anni è al fianco di James Bond».


Che ruolo hanno gli orologi nella tua vita?
“Non posso parlare di tradizione familiare, l’ho scoperta casualmente. Appena ho avuto la possibilità di comprarmene uno, grazie al mio mestiere, è stato lo Speedmaster. Sapere che questo orologio fosse andato sulla luna per me travalicava la semplice estetica, era proprio un oggetto che mi affascinava tantissimo. Con il tempo poi mi sono sempre più interessato a questo mondo. Ciò che mi appassiona sempre è tutto ciò che riguarda l’ingegno umano e l’artigianalità che arriva a livello dell’arte. Trovo Omega un marchio davvero meraviglioso. Sono stato in visita alla Manifattura e quello che ho visto è incredibile. Si pensa sempre a oggetti tecnologici, meccanici, e scopri che sono tutti concepiti, assemblati, migliorati e controllati dall’essere umano, pezzo per pezzo, ingranaggio dopo ingranaggio. L’intelligenza e l’acume umano che vi è dietro mi affascina».
Ti puoi definire un collezionista?
«No, non sono un collezionista nel senso che mi piace possederli. Ne ho, ne ho  avuti anchein passato, ma fondamentalmente l’orologio mi piace usarlo e averlo al polso. Ormai sono abituato, non riesco più a farne a meno».

 

 

Omega Speedmaster Moonwatch Professional Co-Axial Master Chronometer Chronograph

 

Il leggendario orologio spaziale di Omega sfoggia oggi un “bagliore lunare”. Per quanto riguarda i materiali della cassa, gli appassionati del Moonwatch  avevano già un’ampia scelta, con modelli in acciaio, oro Sedna e oro Canopus Gold. Nel 2022, l’ispirazione lunare si apre a nuova dimensione con due nuovi modelli in oro Moonshine. Quello protagonista di queste pagine presenta un quadrante con rivestimento in PVD verde e un anello della lunetta in ceramica verde. Due i modi per fissarlo al polso: il bracciale o il cinturino in coordinato. Il fondello in oro Moonshine con finitura lucida è caratterizzato da doppie smussature e incisione in nero della dicitura “FIRST WATCH WORN ON THE MOON”. Il Moonwatch è alimentato dal calibro Omega Co-Axial Master Chronometer 3861 con una speciale finitura di lusso. Garanzia internazionale 5 anni. Certificato: Master Chronometer fornito con carta di certificazione che garantisce il superamento dei test del METAS
Ref. 310.60.42.50.10.001 - Costa 42.800 euro

 


Creato nel 2019, l’esclusivo oro Moonshine di Omega è una lega di oro giallo ispirata alla luce della Luna nel cielo notturno. Questo materiale presenta una tonalità più chiara del tradizionale oro giallo 18K e offre un’elevata resistenza
alla perdita di intensità cromatica e brillantezza. La sua composizione: >75% oro, 14,5% argento, <9% rame, >1% palladio

 

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